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Testimonianza del sig. Giovanni Bombaci, sopravvissuto, ricevuta il 24 Giugno 2013
Sono uno che era a bordo della barca al momento della tragedia. Dopo tanto tempo ricordo perfettamente come sono andate le cose: E' una bella giornata e il clima è quello festivo tra di noi ragazzi, ci portano sulla spiaggia dove ci avrebbero atteso le tre barche per portarci in gita sull'isola. Con calma ci fanno salire a bordo, e per primo sale don falzone e staziona sulla prua. Io mi trovo sul lato centro-destro, il quale da li a poco si sarebbe capovolto. Noto che gli ultimi a salire sono i tre fratelli Lo presti, ma una volta raggiunto il limite massimo di capienza per la barca fanno scendere il fratello Lo presti più piccolo restando così a terra, dopodichè si parte.
Dato il peso eccessivo della barca non vi è la stabilità adeguata per navigare tranquillamente, difatti la barca si muove continuamente e l'acqua del mare entra sempre di più dentro l'imbarcazione e a quel punto si crea una certa situazione di nervosismo tra i ragazzi, ma nonostante questo il prete (don Falzone) ci raccomanda di restare calmi, e intanto la barca prosegue ondeggiando.La barca si infrange su un'onda più alta delle altre e come logico che fosse si inclina su un lato, quello (centro-destra) dove io ero seduto. Come per istinto mi tuffo a mare per evitare che la barca mi arrivi di sopra. Dopo un primo spavento tolgo subito i vestiti, sento gridare, é il caos...
distante da me vedo don falzone che grida aiuto e poi scompare sotto il mare, allora mi avvicino lo prendo dalle spalle e lo traggo in salvo su un remo che galleggia li vicino. Aiuto altri ragazzi a togliersi i vestiti ma a quel punto le forze mi mancano e mi aggrappo alla barca capovolta che dopo poco affonda.Io e altri tre ragazzi ci dirigiamo a nuoto verso la spiaggia da dove eravamo partiti, dopo una decina di minuti ci viene incontro una piccola barca con due ragazzi a bordo ci fanno salire e ci portano sulla spiaggia. semi nudi arriviamo alla spiaggia dove si ferma un'auto che ci porta all'istituto dove diamo le prime notizie dell'accaduto.Nel pomeriggio mi sento male, in serata vengono a prendermi con l'ambulanza e mi portano all'ospedale per forte stato febbrile.
Questo ricordare l'accaduto, mi ha accompagnato tutta la vita e tra gli sfortunati dei miei compagni ricordo particolarmente, oltre i due fratelli Lo presti, Rosario Mugavero il quale, dopo aver sofferto tanto per le bruciatura subite da bambino, sapeva nuotare perfettamente, ma una settimana prima della tragedia si rompe il braccio e viene ingessato e penso ancora che sia stata la causa della sua morte.
Dato il peso eccessivo della barca non vi è la stabilità adeguata per navigare tranquillamente, difatti la barca si muove continuamente e l'acqua del mare entra sempre di più dentro l'imbarcazione e a quel punto si crea una certa situazione di nervosismo tra i ragazzi, ma nonostante questo il prete (don Falzone) ci raccomanda di restare calmi, e intanto la barca prosegue ondeggiando.La barca si infrange su un'onda più alta delle altre e come logico che fosse si inclina su un lato, quello (centro-destra) dove io ero seduto. Come per istinto mi tuffo a mare per evitare che la barca mi arrivi di sopra. Dopo un primo spavento tolgo subito i vestiti, sento gridare, é il caos...
distante da me vedo don falzone che grida aiuto e poi scompare sotto il mare, allora mi avvicino lo prendo dalle spalle e lo traggo in salvo su un remo che galleggia li vicino. Aiuto altri ragazzi a togliersi i vestiti ma a quel punto le forze mi mancano e mi aggrappo alla barca capovolta che dopo poco affonda.Io e altri tre ragazzi ci dirigiamo a nuoto verso la spiaggia da dove eravamo partiti, dopo una decina di minuti ci viene incontro una piccola barca con due ragazzi a bordo ci fanno salire e ci portano sulla spiaggia. semi nudi arriviamo alla spiaggia dove si ferma un'auto che ci porta all'istituto dove diamo le prime notizie dell'accaduto.Nel pomeriggio mi sento male, in serata vengono a prendermi con l'ambulanza e mi portano all'ospedale per forte stato febbrile.
Questo ricordare l'accaduto, mi ha accompagnato tutta la vita e tra gli sfortunati dei miei compagni ricordo particolarmente, oltre i due fratelli Lo presti, Rosario Mugavero il quale, dopo aver sofferto tanto per le bruciatura subite da bambino, sapeva nuotare perfettamente, ma una settimana prima della tragedia si rompe il braccio e viene ingessato e penso ancora che sia stata la causa della sua morte.
Testimonianza del sig. Diego Maggio, ex-alunno, ricevuta il 14 Maggio 2013
Debbo al diniego ostinato di mio padre se quel giorno non ero anch'io su quella barca. Aveva consentito, prima di allora, che io partecipassi a tutte le escursioni organizzate dai Salesiani: in bicicletta, in pulmann, in treno. Ma quella volta disse NO: perché si trattava di andare per mare. E lui che non aveva molta confidenza con tale elemento, mi ripeteva il detto siciliano antico "A 'mmare nun ci 'nn'è taverna".
Insistetti come può insistere un ragazzino di nove anni che vuole stare sempre insieme ai suoi coetanei, seguirli nelle... avventure. Ma papà, stremato dai miei strepiti, pose una condizione: "Se almeno uno tra Ciccio, Giampiero o Francesco - i tuoi amici più assidui - ci va, ti ci faccio andare. Altrimenti, scòrdatelo".
Ma anche i genitori di Ciccio, Giampiero e Francesco si opposero e nessuno di loro partecipò alla gita. E così mi rassegnai a seguire Giampiero con la sua famiglia in una sostitutiva scampagnata ad Erice. Quando ne tornammo nel pomeriggio, attraversando la "stràta di sùtta", notammo uno strano traffico e sirene di ambulanza dalle parti di Spagnola e Giunchi, prima di entrare in città.
Arrivato a casa, vi trovai mezza parentela: avevano sentito della tragedia accaduta ai ragazzi dei Salesiani e venivano a piangermi fra i morti, perché tutti mettevano nel conto che potevo essere annegato anch'io, dato che si sapeva che frequentavo la scuola alla Casa Divina Provvidenza e seguivo sempre le escursioni dei Salesiani.
Ricordo, poi, due giorni dopo, quelle diciassette bare bianche nella Chiesa di San Francesco, accanto all'Ospedale San Biagio. E le scene di un dolore senza misura. Fra gli scomparsi, quattro miei compagni di classe (dei quali vorrei ricordare nomi e volti) e il mio maestro di quella Quarta elementare, il chierico salesiano Don Vincenzo Sagona che aveva ventitré anni ed era nato ad Alia. Diciassette anni avevano, invece, Carmelo Orlando e Nino Messina, marsalesi, che mi proteggevano dai più grandi all'Oratorio quando rischiavo spesso di buscare legnate perché volevo sempre vincere a pallone.
Ho cercato spesso, in tutti questi anni, di stimolare una degna celebrazione per quei diciassette sfortunati.
Ho interpellato preti, vescovi ed ex-allievi.
Andai ad Alia, qualche anno fa. E, chiedendo a passanti, trovai la casa del mio maestro. Dissi al fratello che alla Chiesa Maria Ausiliatrice di Marsala avremmo almeno celebrato, presto, una Messa in suffragio di don Enzo e degli altri sedici che persero la vita nei bassi fondali di quella laguna con le saline.
Ma il primo maggio del 2004 mi ritrovai da solo su quell'imbarcadero a gettare diciassette fiori nelle acque salate dello Stagnone.
Vorrei, con tutto il cuore, che ci fosse una moltitudine a ricordare tutti e ciascuno di quei diciassette in occasione dell'imminente cinquantesimo anniversario di una tragedia senza misura: che (grazie all'ostinazione di mio padre) mi ha visto conservare la vita, ma che ha cambiato la mia vita.
- DIEGO MAGGIO -
Insistetti come può insistere un ragazzino di nove anni che vuole stare sempre insieme ai suoi coetanei, seguirli nelle... avventure. Ma papà, stremato dai miei strepiti, pose una condizione: "Se almeno uno tra Ciccio, Giampiero o Francesco - i tuoi amici più assidui - ci va, ti ci faccio andare. Altrimenti, scòrdatelo".
Ma anche i genitori di Ciccio, Giampiero e Francesco si opposero e nessuno di loro partecipò alla gita. E così mi rassegnai a seguire Giampiero con la sua famiglia in una sostitutiva scampagnata ad Erice. Quando ne tornammo nel pomeriggio, attraversando la "stràta di sùtta", notammo uno strano traffico e sirene di ambulanza dalle parti di Spagnola e Giunchi, prima di entrare in città.
Arrivato a casa, vi trovai mezza parentela: avevano sentito della tragedia accaduta ai ragazzi dei Salesiani e venivano a piangermi fra i morti, perché tutti mettevano nel conto che potevo essere annegato anch'io, dato che si sapeva che frequentavo la scuola alla Casa Divina Provvidenza e seguivo sempre le escursioni dei Salesiani.
Ricordo, poi, due giorni dopo, quelle diciassette bare bianche nella Chiesa di San Francesco, accanto all'Ospedale San Biagio. E le scene di un dolore senza misura. Fra gli scomparsi, quattro miei compagni di classe (dei quali vorrei ricordare nomi e volti) e il mio maestro di quella Quarta elementare, il chierico salesiano Don Vincenzo Sagona che aveva ventitré anni ed era nato ad Alia. Diciassette anni avevano, invece, Carmelo Orlando e Nino Messina, marsalesi, che mi proteggevano dai più grandi all'Oratorio quando rischiavo spesso di buscare legnate perché volevo sempre vincere a pallone.
Ho cercato spesso, in tutti questi anni, di stimolare una degna celebrazione per quei diciassette sfortunati.
Ho interpellato preti, vescovi ed ex-allievi.
Andai ad Alia, qualche anno fa. E, chiedendo a passanti, trovai la casa del mio maestro. Dissi al fratello che alla Chiesa Maria Ausiliatrice di Marsala avremmo almeno celebrato, presto, una Messa in suffragio di don Enzo e degli altri sedici che persero la vita nei bassi fondali di quella laguna con le saline.
Ma il primo maggio del 2004 mi ritrovai da solo su quell'imbarcadero a gettare diciassette fiori nelle acque salate dello Stagnone.
Vorrei, con tutto il cuore, che ci fosse una moltitudine a ricordare tutti e ciascuno di quei diciassette in occasione dell'imminente cinquantesimo anniversario di una tragedia senza misura: che (grazie all'ostinazione di mio padre) mi ha visto conservare la vita, ma che ha cambiato la mia vita.
- DIEGO MAGGIO -
Testimonianza del sig. Pietro Agate, sopravvissuto, ricevuta il 12 Maggio 2014
Sono Pietro Agate, all'epoca dei fatti avevo 13 anni e frequentavo
l'Istituto dei salesiani da esterno.
Ricordo la mattina della tragedia come fosse oggi. Partimmo dall'Istituto alla volta di Mozia, passando naturalmente prima per la lega navale dove ci aspettavano le altre barche già cariche di bambini, arrivato il nostro turno salimmo a bordo felicissimi di fare quella bellissima esperienza. Io presi posto a destra del motore verso prua, il padrone della barca in continuazione ci gridava di stare fermi in quanto eravamo troppi ed era troppo pericoloso, con noi c'era anche un prete.
Quando prendemmo il largo il mare era calmissimo, l'euforia alle stelle, i bambini che andavano da una parte all'altra della barca gridando un pesce, un pesce; all'improvviso il dramma, la barca si capovolse e tutti in acqua. Io andai a finire tra il motore e la prua e non riuscii a venirne fuori in quanto era pieno di alghe e melma, per fortuna trovai un varco e fui fuori, nel mentre vidi i miei compagni che lottavano in quanto la maggior parte non sapeva nuotare.
A un certo punto vidi un barcone che ci veniva incontro a salvarci, io nuotavo disperatamente con la paura di non farcela. Dopo che mi tirarono su persi i sensi per la stanchezza. Rimasi confuso per tanti giorni, sempre pensando a quei poveri compagni che una semplice e gioiosa gita non ce la fecero a tornare indietro, anche perché, non ero riuscito a fare niente per loro; quella scena tremenda me la porterò sempre con me.
Mi sento un miracolato, anche perché quel giorno anche un mio fratellino sarebbe dovuto venire con noi ma io non glielo avevo permesso. Questo è tutto quello che ricordo.
Ricordo la mattina della tragedia come fosse oggi. Partimmo dall'Istituto alla volta di Mozia, passando naturalmente prima per la lega navale dove ci aspettavano le altre barche già cariche di bambini, arrivato il nostro turno salimmo a bordo felicissimi di fare quella bellissima esperienza. Io presi posto a destra del motore verso prua, il padrone della barca in continuazione ci gridava di stare fermi in quanto eravamo troppi ed era troppo pericoloso, con noi c'era anche un prete.
Quando prendemmo il largo il mare era calmissimo, l'euforia alle stelle, i bambini che andavano da una parte all'altra della barca gridando un pesce, un pesce; all'improvviso il dramma, la barca si capovolse e tutti in acqua. Io andai a finire tra il motore e la prua e non riuscii a venirne fuori in quanto era pieno di alghe e melma, per fortuna trovai un varco e fui fuori, nel mentre vidi i miei compagni che lottavano in quanto la maggior parte non sapeva nuotare.
A un certo punto vidi un barcone che ci veniva incontro a salvarci, io nuotavo disperatamente con la paura di non farcela. Dopo che mi tirarono su persi i sensi per la stanchezza. Rimasi confuso per tanti giorni, sempre pensando a quei poveri compagni che una semplice e gioiosa gita non ce la fecero a tornare indietro, anche perché, non ero riuscito a fare niente per loro; quella scena tremenda me la porterò sempre con me.
Mi sento un miracolato, anche perché quel giorno anche un mio fratellino sarebbe dovuto venire con noi ma io non glielo avevo permesso. Questo è tutto quello che ricordo.
Testimonianza di Mario Benigno, sopravvissuto, pubblicata sul Vomere del 17 Maggio 2014, pag. 9
E’ l’unico superstite che ricorda attimo per attimo la più grande sciagura marsalese dal dopoguerra. Mario Benigno, classe 1948, ha ancora negli occhi la tragedia di quel 1° maggio di 50 anni fa consumata nello splendido Stagnone di Marsala, dove persero la vita 17 ragazzi (dai 10 ai 18 anni) durante la traversata per raggiungere l’isola di Mozia. Un bilancio drammatico. Marsala e l’Italia si inginocchiarono dinnanzi a quelle 17 bare. La gita era stata organizzata dai padri dell’Istituito Salesiani della “Casa della Divina Provvidenza” di Marsala. La barca affondò e insieme la vita e i sogni di quei ragazzi. Ancora oggi a tratti gli occhi chiari di Mario sono sbarrati dallo spavento mentre ricorda, mentre racconta. Un tuffo nel dolore per fare riemergere i momenti di questa straziante tragedia che si sarebbe potuta evitare. Bastava solo… un pò di buon senso.
Mario, comprendiamo bene quanto sia difficile, per non dire impossibile, raccontare cosa accadde quel giorno. Cosa ricordi?
Quella mattina partimmo presto. Prima arrivammo noi dell’oratorio e poi gli altri dell’Istituto Salesiani. A piedi raggiungemmo il Lido Marinella, oggi sede della Lega Navale. Eravamo 92 ragazzi provenienti da tutta la Sicilia. Aspettammo gli altri per imbarcarci tutti insieme. Lì c’erano le tre barche: la “Giovanni III”condotta da Pietro Arini, la “Vincenzo” comandata da Giovanni Bianchi e la “Giuseppe e Maria” con a bordo Giovanni Impiccichè.
Perché non siete partiti dall’imbarcadero di Ettore Infersa?
Per risparmiare due soldi di autobus. Se avessero noleggiato un autobus, se ci avessero lasciato in quell’antico imbarcadero per salpare per Mozia, saremmo stati a due passi e ci saremmo salvati. Qualunque guaio sarebbe successo.
Saliti in barca cosa accadde?
Le prime avvisaglie c’erano state: l’acqua stava salendo dall’interno perché la barca era vecchia. Con la pressione per il peso, per il numero delle persone che vi erano salite, l’acqua continuava ad infiltrarsi.
Quanti ragazzi vi salirono?
31-32, poi c’erano Don Calogero Falzone e il chierico.
Quanto era lunga la barca?
6 metri. Noi eravamo sistemati come sardine salate, uno accanto all’altro. Non potevamo muoverci. C’era il rischio che la barca si sarebbe ribaltata. Noi che eravamo seduti, notavamo che, man mano, l’acqua toccava i piedi. Nel momento in cui la barca era arrivata a pelo d’acqua ci alzammo, ci spostammo e così facendo si spostò il baricentro della barca che inevitabilmente si capovolse.
Dove ti trovavi?
Ero seduto sul lato destro della barca che cadde addosso a me, a Carlo e a tutti i ragazzi che erano sullo stesso lato. La barca non affondò subito, rimase a galla. Caduti in acqua ciascuno di noi cercò di aggrapparsi l’uno all’altro. Io lo ricordo ancora! Vedevo la luce attraverso l’acqua. Ad un certo punto mi sono trovato su come un po’ tutti gli altri.
E la barca?
Si capovolse. Istintivamente sei spinto ad aggrapparsi ad essa. Molti anziché aggrapparsi alla barca e stare fermi e tentare di galleggiare, cercarono di salire sulla barca capovolta. Il peso fu tale che la barca si rigirò nuovamente e affondò. Rimasero così imbrigliati all’interno della barca il chierico e gli altri. Noi che riuscimmo a rimanere a galla ci tenemmo l’un con l’altro.
Chi eravate?
Mario Lo Presti, Giacomo Accardi. Carlo Vinci era con noi poi si staccò ed io non lo vidi più. Rivedo don Falzone con il peso della tonaca. Ho ancora nelle orecchie le grida dei bambini.
E tu?
Bevevo acqua e nafta perché quando la barca si capovolse, tutto il carburante si riversò nel mare. Che paura, che stress: nuotavi in mezzo ai cadaveri e vedevi che nessuno veniva a salvarti. Ricordo quel silenzio. Un silenzio agghiacciante. Poi, quando tutti morirono, ecco che dalla terraferma venne una barca verso di noi. Le altre due barche erano così stracariche che non potevano soccorrerci. Cosa avrebbero potuto fare? Andare a terra, lasciare i ragazzi per poi ritornare. Ma era troppo tardi. Il danno era fatto. Chi sapeva nuotare resistette un po’ a galla. Attimi. Sono attimi. Nella confusione chi ce l’ha fatta ce l’ha fatta. Io ero con don Falzone. La barca era andata giù. Noi galleggiavamo. C’era chi chiamava la mamma. Sentivamo qualcuno piangere e chiedere aiuto. Eravamo tutti ragazzini. Io avevo 14 anni.
Finalmente la barca arrivò.
Sì c’era a bordo Nicola Ragona.
Come ricordi questo momento?
Hai presente la scena della mattanza, quando prendono i tonni morti? La stessa cosa: ci presero di forza e ci buttarono dentro la barca in mezzo ad altri cadaveri. Dopo di che immagina in che condizioni arrivammo a terra. Noi eravamo talmente storditi anche per effetto della nafta. Pensavano fossimo morti! Ti ricordo che non c’erano telefonini per avvisare ambulanze, carabinieri. Dovettimo aspettare.
Arrivarono le ambulanze.
Chiesi ad uno conducente dell’ambulanza che conoscevo di accompagnarmi a casa. Non volevo che i miei familiari sapessero. Avevo premeditato tutto.
Incredibile! Come reagirono i tuoi genitori quando ti videro in quello stato?
Mia madre mi chiese subito: “Ma tu non sei andato a Mozia?” e poi aggiunse: “Sento un cattivo odore di nafta”. Risposi: “Sono le scarpe”e approfittando di un momento in cui lei era andata in cucina, mi spogliai velocemente e mi lavai a lungo per togliere la nafta che si era appiccicata sulla mia pelle. Intanto i miei fratelli sapendo della mia gita a Mozia si erano recati sul posto e mi avevano cercato tra i morti e in ospedale. In serata vennero a casa e mi chiesero: “Ma tu sei qui?”. Mio padre rispose:” Perché questa domanda? C’è qualcosa che non so?”. E loro:” Oggi sono annegati 17 ragazzi allo Stagnone, in quella gita”. Spiegai che in cuor mio volevo solo proteggerli, non dare dispiaceri. I miei mi abbracciarono forte. Quella notte stetti malissimo. Una notte da incubi! Rivedevo attimo per attimo tutto quello che avevo vissuto. Durante la giornata non ero riuscito a versare una lacrima. Il giorno dopo invano insistetti per rivedere i miei compagni. Andai invece in chiesa. Non appena entrai, la gente voleva toccarmi, parlarmi, sapere come mi ero salvato. Mi avvicinai, tra la folla, all’altare. Non appena vidi quelle 17 bare scoppiai in un pianto incontenibile.
Straziante vedere, sentire quelle madri che gridavano e chiamavano per nome i loro figli. Un’esperienza incredibile!”
Sono passati 50 anni e non sai darti pace. Provi ancora tanta rabbia.
Sì. Tutto questo è inconcepibile. C’è una responsabilità morale da parte dell’Istituto dei Salesiani e una responsabilità materiale da parte dei barcaioli. Quel giorno quando i padri dell’Istituto videro in che condizioni si trovavano le barche dovevano dire: “Basta. Non si fa niente. Si torna a casa”.
Questi ragazzi sono morti nell’oblio totale. Sono passati 50 anni e non sono stati mai ricordati! Ogni anno si doveva fare qualcosa, organizzare delle celebrazioni per tenere vivo il loro ricordo. In questi anni sono andato dai Salesiani ma mi sono sentito rispondere:” sì, sì…ci sentiamo…ci vediamo…” Ma non si è fatto niente. Anche i
politici in tutti questi anni non hanno fatto niente!”.
Caro Mario, Il Vomere ha fatto la sua parte in tutti questi anni. E’ doveroso rendere omaggio alla loro memoria. A 30 anni dal triste anniversario il giornale ha riportato un articolo e un racconto di Tommaso Spadaro. In occasione dei 100 anni della testata è stata riportata la cronaca della sciagura attingendo proprio alle fonti del Vomere. Quest’anno abbiamo accolto la bellissima idea di Nino Ienna di pubblicare il suo libro: “Gli Angeli dello Stagnone. Cronaca di una morte annunciata” (riportando, fra gli altri, articoli tratti dalla collezione del nostro giornale). Il libro edito dal Vomere è stato presentato nell’affollatissimo Istituto Tecnico Agrario “Abele Damiani” di Marsala. Un libro per ricordare.
Per iniziativa di Nino Ienna, il 1° maggio le vittime sono state ricordate, per la prima volta, in collaborazione con le istituzioni locali.
Ti ringraziamo di cuore per questa preziosa testimonianza, per quello che hai fatto per questi piccoli Angeli che è giusto ricordare: Antonino Messina, Carmelo Orlando, Vincenzo Sagona, Giovanni Caravello, Rosario Mugavero, Salvatore Madelio, Domenico Papaleo, Camillo Lo Presti, Francesco Ruffino, Domenico Trito, Michele Borrello, Antonino Ruggirello, Renato Consoli, Vincenzo Capizzi, Michelangelo Turrisi.
Ti ringraziamo di cuore per averlo fatto per Il Vomere e per i nostri lettori.
Mario, comprendiamo bene quanto sia difficile, per non dire impossibile, raccontare cosa accadde quel giorno. Cosa ricordi?
Quella mattina partimmo presto. Prima arrivammo noi dell’oratorio e poi gli altri dell’Istituto Salesiani. A piedi raggiungemmo il Lido Marinella, oggi sede della Lega Navale. Eravamo 92 ragazzi provenienti da tutta la Sicilia. Aspettammo gli altri per imbarcarci tutti insieme. Lì c’erano le tre barche: la “Giovanni III”condotta da Pietro Arini, la “Vincenzo” comandata da Giovanni Bianchi e la “Giuseppe e Maria” con a bordo Giovanni Impiccichè.
Perché non siete partiti dall’imbarcadero di Ettore Infersa?
Per risparmiare due soldi di autobus. Se avessero noleggiato un autobus, se ci avessero lasciato in quell’antico imbarcadero per salpare per Mozia, saremmo stati a due passi e ci saremmo salvati. Qualunque guaio sarebbe successo.
Saliti in barca cosa accadde?
Le prime avvisaglie c’erano state: l’acqua stava salendo dall’interno perché la barca era vecchia. Con la pressione per il peso, per il numero delle persone che vi erano salite, l’acqua continuava ad infiltrarsi.
Quanti ragazzi vi salirono?
31-32, poi c’erano Don Calogero Falzone e il chierico.
Quanto era lunga la barca?
6 metri. Noi eravamo sistemati come sardine salate, uno accanto all’altro. Non potevamo muoverci. C’era il rischio che la barca si sarebbe ribaltata. Noi che eravamo seduti, notavamo che, man mano, l’acqua toccava i piedi. Nel momento in cui la barca era arrivata a pelo d’acqua ci alzammo, ci spostammo e così facendo si spostò il baricentro della barca che inevitabilmente si capovolse.
Dove ti trovavi?
Ero seduto sul lato destro della barca che cadde addosso a me, a Carlo e a tutti i ragazzi che erano sullo stesso lato. La barca non affondò subito, rimase a galla. Caduti in acqua ciascuno di noi cercò di aggrapparsi l’uno all’altro. Io lo ricordo ancora! Vedevo la luce attraverso l’acqua. Ad un certo punto mi sono trovato su come un po’ tutti gli altri.
E la barca?
Si capovolse. Istintivamente sei spinto ad aggrapparsi ad essa. Molti anziché aggrapparsi alla barca e stare fermi e tentare di galleggiare, cercarono di salire sulla barca capovolta. Il peso fu tale che la barca si rigirò nuovamente e affondò. Rimasero così imbrigliati all’interno della barca il chierico e gli altri. Noi che riuscimmo a rimanere a galla ci tenemmo l’un con l’altro.
Chi eravate?
Mario Lo Presti, Giacomo Accardi. Carlo Vinci era con noi poi si staccò ed io non lo vidi più. Rivedo don Falzone con il peso della tonaca. Ho ancora nelle orecchie le grida dei bambini.
E tu?
Bevevo acqua e nafta perché quando la barca si capovolse, tutto il carburante si riversò nel mare. Che paura, che stress: nuotavi in mezzo ai cadaveri e vedevi che nessuno veniva a salvarti. Ricordo quel silenzio. Un silenzio agghiacciante. Poi, quando tutti morirono, ecco che dalla terraferma venne una barca verso di noi. Le altre due barche erano così stracariche che non potevano soccorrerci. Cosa avrebbero potuto fare? Andare a terra, lasciare i ragazzi per poi ritornare. Ma era troppo tardi. Il danno era fatto. Chi sapeva nuotare resistette un po’ a galla. Attimi. Sono attimi. Nella confusione chi ce l’ha fatta ce l’ha fatta. Io ero con don Falzone. La barca era andata giù. Noi galleggiavamo. C’era chi chiamava la mamma. Sentivamo qualcuno piangere e chiedere aiuto. Eravamo tutti ragazzini. Io avevo 14 anni.
Finalmente la barca arrivò.
Sì c’era a bordo Nicola Ragona.
Come ricordi questo momento?
Hai presente la scena della mattanza, quando prendono i tonni morti? La stessa cosa: ci presero di forza e ci buttarono dentro la barca in mezzo ad altri cadaveri. Dopo di che immagina in che condizioni arrivammo a terra. Noi eravamo talmente storditi anche per effetto della nafta. Pensavano fossimo morti! Ti ricordo che non c’erano telefonini per avvisare ambulanze, carabinieri. Dovettimo aspettare.
Arrivarono le ambulanze.
Chiesi ad uno conducente dell’ambulanza che conoscevo di accompagnarmi a casa. Non volevo che i miei familiari sapessero. Avevo premeditato tutto.
Incredibile! Come reagirono i tuoi genitori quando ti videro in quello stato?
Mia madre mi chiese subito: “Ma tu non sei andato a Mozia?” e poi aggiunse: “Sento un cattivo odore di nafta”. Risposi: “Sono le scarpe”e approfittando di un momento in cui lei era andata in cucina, mi spogliai velocemente e mi lavai a lungo per togliere la nafta che si era appiccicata sulla mia pelle. Intanto i miei fratelli sapendo della mia gita a Mozia si erano recati sul posto e mi avevano cercato tra i morti e in ospedale. In serata vennero a casa e mi chiesero: “Ma tu sei qui?”. Mio padre rispose:” Perché questa domanda? C’è qualcosa che non so?”. E loro:” Oggi sono annegati 17 ragazzi allo Stagnone, in quella gita”. Spiegai che in cuor mio volevo solo proteggerli, non dare dispiaceri. I miei mi abbracciarono forte. Quella notte stetti malissimo. Una notte da incubi! Rivedevo attimo per attimo tutto quello che avevo vissuto. Durante la giornata non ero riuscito a versare una lacrima. Il giorno dopo invano insistetti per rivedere i miei compagni. Andai invece in chiesa. Non appena entrai, la gente voleva toccarmi, parlarmi, sapere come mi ero salvato. Mi avvicinai, tra la folla, all’altare. Non appena vidi quelle 17 bare scoppiai in un pianto incontenibile.
Straziante vedere, sentire quelle madri che gridavano e chiamavano per nome i loro figli. Un’esperienza incredibile!”
Sono passati 50 anni e non sai darti pace. Provi ancora tanta rabbia.
Sì. Tutto questo è inconcepibile. C’è una responsabilità morale da parte dell’Istituto dei Salesiani e una responsabilità materiale da parte dei barcaioli. Quel giorno quando i padri dell’Istituto videro in che condizioni si trovavano le barche dovevano dire: “Basta. Non si fa niente. Si torna a casa”.
Questi ragazzi sono morti nell’oblio totale. Sono passati 50 anni e non sono stati mai ricordati! Ogni anno si doveva fare qualcosa, organizzare delle celebrazioni per tenere vivo il loro ricordo. In questi anni sono andato dai Salesiani ma mi sono sentito rispondere:” sì, sì…ci sentiamo…ci vediamo…” Ma non si è fatto niente. Anche i
politici in tutti questi anni non hanno fatto niente!”.
Caro Mario, Il Vomere ha fatto la sua parte in tutti questi anni. E’ doveroso rendere omaggio alla loro memoria. A 30 anni dal triste anniversario il giornale ha riportato un articolo e un racconto di Tommaso Spadaro. In occasione dei 100 anni della testata è stata riportata la cronaca della sciagura attingendo proprio alle fonti del Vomere. Quest’anno abbiamo accolto la bellissima idea di Nino Ienna di pubblicare il suo libro: “Gli Angeli dello Stagnone. Cronaca di una morte annunciata” (riportando, fra gli altri, articoli tratti dalla collezione del nostro giornale). Il libro edito dal Vomere è stato presentato nell’affollatissimo Istituto Tecnico Agrario “Abele Damiani” di Marsala. Un libro per ricordare.
Per iniziativa di Nino Ienna, il 1° maggio le vittime sono state ricordate, per la prima volta, in collaborazione con le istituzioni locali.
Ti ringraziamo di cuore per questa preziosa testimonianza, per quello che hai fatto per questi piccoli Angeli che è giusto ricordare: Antonino Messina, Carmelo Orlando, Vincenzo Sagona, Giovanni Caravello, Rosario Mugavero, Salvatore Madelio, Domenico Papaleo, Camillo Lo Presti, Francesco Ruffino, Domenico Trito, Michele Borrello, Antonino Ruggirello, Renato Consoli, Vincenzo Capizzi, Michelangelo Turrisi.
Ti ringraziamo di cuore per averlo fatto per Il Vomere e per i nostri lettori.
Testimonianza di Nino Sagona, fratello del chierico Vincenzo, resa in Alia il 25 Luglio 2014, durante la terza presentazione del libro "Gli Angeli dello Stagnone"
Sono passati cinquant’anni è
il ricordo di Enzo è sempre vivo e lo sentiamo vicino come all’allora, con il
suo affetto e la sua disponibilità.
Enzo era nato ad Alia il 13 aprile 1940 ed era il 3° genito di una famiglia numerosa, (eravamo sei figli. Mentre frequentava la scuola elementare scelse di diventare chierichetto esemplare a servizio della Matrice dedicata alla Madonna delle Grazie, verso la quale era molto devoto. Dimostrò subito una particolare sensibilità nei confronti degli altri.
Senz’altro gli incontri con Don Nunzio Barcellona quando veniva ad Alia a trovare i genitori, allora seminarista presso i Salesiani di San Gregorio di Catania ed i lunghi ed appassionati discorsi sulla vita di San Giovanni Bosco, hanno fatto maturare in Enzo la vocazione sacerdotale.
Manifestò in famiglia questo suo grande desiderio ed assecondato dalla mamma, nell’ottobre del 1952 parti alla volta di Pedara entrando nel Seminario dei Salesiani, dove frequentò la scuola media e conseguì il ginnasio.
Nel 1957, ricorreva la festa di Cristo Re (ultima domenica di novembre) a San Gregorio di Catania ricevette la vestizione, indossò l’abito talare ed entrò a far parte dei chierici Salesiani, dove conseguì la licenza liceale e il diploma di maestro elementare.
Nel 1962 viene assegnato alla Casa Divina Provvidenza di Marsala, dove inizia il quadriennio di insegnamento ai ragazzi della scuola elementare.
Enzo era ricco, di virtù umane e di fede.
Per questo era sempre disponibile nei confronti degli altri, soprattutto dei giovani, che curava ed aiutava nella crescita secondo i principi e lo stile dei Salesiani.
Quanti lo conobbero, lo ricordano sempre sereno e disponibile, pieno di intensità e di fede.
Ma il 1° maggio del 1964, quella che doveva essere una gioiosa gita nell’isola di Mozia, si trasformò per lui e per i sui giovani alunni, in una tragedia.
Una delle barche che trasportava i ragazzi dall’imbarcadero alla vicina Isola di Mozia si capovolse per il peso eccessivo.
I ragazzi cominciarono a gridare chiedendo aiuto invano, molti di loro non avevano mai visto prima di allora il mare e non sapevano nuotare. In un attimo la tragedia di consumò.
Chi assistette a quell’incredibile evento, racconta che Enzo assieme ad altri ragazzi impegnarono tutte le loro forze per cercare di salvare quelle piccole vite umane. Furono tanti quelli strappati alla morte. Ma alla fine, la stanchezza ebbe il sopravvento anche su di loro e furono inghiottiti in 17 dal mare dello Stagnone.
Furono ritrovati senza vita, abbracciati tra di loro.
Ringrazio a nome mio e della mia famiglia tutti quelli che si sono prodigati per rendere sempre vivo il ricordo, soprattutto in occasione del cinquantesimo anniversario che si è commemorato il 1 maggio di quest’anno a Marsala.
“Chi era Enzo Sagona”.
“Un fiore sbocciato in una famiglia sentitamente cristiana, presto fu trapiantato nel giardino di Don Bosco ove il suo profumo inebriò tutti. All’inizio del mese dei fiori, assieme ad altri boccioli, tragicamente nel mare recisi, eroicamente con essi formò una corona da offrire per Maria a Gesù in puro slancio d’amore”.
- Ringrazio,
Innanzitutto, l’Amministrazione Comunale della Città di Marsala per le iniziative prese per quelli che sono da tutti ricordati come “GLI ANGELI DELLO STAGNONE”.
- Ringrazio,
Le autorità religiose intervenute, Il Vescovo della Diocesi di Mazzara del Vallo, Mons. Domenico Mogavero;
- l’Ispettore della Sicilia dei Salesiani Don Giuseppe Ruta;
- Don Gino Costanzo, Direttore della Casa Divina Provvidenza di Marsala;
- Ringrazio,
L’Autore del libro Nino Ienna, per avere con tanta dedizione ed amore ricostruito e raccontato tutte vicende successe quel tragico giorno del 1° maggio del 1964;
- Ringrazio,
L’Avv. Diego Maggio (alunno di quarta elementare del Maestro Don Enzo Sagona) che tanto ha fatto per tenere sempre vivo il ricordo del suo indimenticabile Maestro ed educatore. Sopravvissuto a quella tragedia perché non poté partecipare, la tragedia di quella giornata lo ha segnato per tutta la vita. Ma al ricordo ed ai principi morali e religiosi del Maestro Sagona ha ispirato la sua vita e la sua professione.
- Ringrazio,
tutti i sopravvissuti che hanno dato la loro testimonianza diretta di quanto accadde quel terribile giorno allo Stagnone;
- Ringrazio,
La Sig.ra Maria Papaleo della Calabria, e il Sig. Giovanni Carovello Grasta di Caltanissetta, che si impegnarono tramite internet (sito: fiori recisi marsala 64) a contattare i familiari degli scomparsi ed hanno organizzato la giornata in occasione del 50° anniversario a Marsala;
- Ringrazio,
L’Associazione La fucina di Alia, per avere invitato Nino Ienna e per avere fatto conoscere una tragedia che ha avuto come vittima, un figlio di questa comunità, che con il suo slancio eroico a ha sacrificato il bene più prezioso che Dio gli aveva donato, la vita, per gli altri.
- Ringrazio,
l’Amministrazione Comunale di Alia;
Ringrazio i cittadini di Alia che con la loro presenza hanno voluto onorare la memoria del mio compianto fratello Enzo.
Grazie a tutti, Nino Sagona
Enzo era nato ad Alia il 13 aprile 1940 ed era il 3° genito di una famiglia numerosa, (eravamo sei figli. Mentre frequentava la scuola elementare scelse di diventare chierichetto esemplare a servizio della Matrice dedicata alla Madonna delle Grazie, verso la quale era molto devoto. Dimostrò subito una particolare sensibilità nei confronti degli altri.
Senz’altro gli incontri con Don Nunzio Barcellona quando veniva ad Alia a trovare i genitori, allora seminarista presso i Salesiani di San Gregorio di Catania ed i lunghi ed appassionati discorsi sulla vita di San Giovanni Bosco, hanno fatto maturare in Enzo la vocazione sacerdotale.
Manifestò in famiglia questo suo grande desiderio ed assecondato dalla mamma, nell’ottobre del 1952 parti alla volta di Pedara entrando nel Seminario dei Salesiani, dove frequentò la scuola media e conseguì il ginnasio.
Nel 1957, ricorreva la festa di Cristo Re (ultima domenica di novembre) a San Gregorio di Catania ricevette la vestizione, indossò l’abito talare ed entrò a far parte dei chierici Salesiani, dove conseguì la licenza liceale e il diploma di maestro elementare.
Nel 1962 viene assegnato alla Casa Divina Provvidenza di Marsala, dove inizia il quadriennio di insegnamento ai ragazzi della scuola elementare.
Enzo era ricco, di virtù umane e di fede.
Per questo era sempre disponibile nei confronti degli altri, soprattutto dei giovani, che curava ed aiutava nella crescita secondo i principi e lo stile dei Salesiani.
Quanti lo conobbero, lo ricordano sempre sereno e disponibile, pieno di intensità e di fede.
Ma il 1° maggio del 1964, quella che doveva essere una gioiosa gita nell’isola di Mozia, si trasformò per lui e per i sui giovani alunni, in una tragedia.
Una delle barche che trasportava i ragazzi dall’imbarcadero alla vicina Isola di Mozia si capovolse per il peso eccessivo.
I ragazzi cominciarono a gridare chiedendo aiuto invano, molti di loro non avevano mai visto prima di allora il mare e non sapevano nuotare. In un attimo la tragedia di consumò.
Chi assistette a quell’incredibile evento, racconta che Enzo assieme ad altri ragazzi impegnarono tutte le loro forze per cercare di salvare quelle piccole vite umane. Furono tanti quelli strappati alla morte. Ma alla fine, la stanchezza ebbe il sopravvento anche su di loro e furono inghiottiti in 17 dal mare dello Stagnone.
Furono ritrovati senza vita, abbracciati tra di loro.
Ringrazio a nome mio e della mia famiglia tutti quelli che si sono prodigati per rendere sempre vivo il ricordo, soprattutto in occasione del cinquantesimo anniversario che si è commemorato il 1 maggio di quest’anno a Marsala.
“Chi era Enzo Sagona”.
“Un fiore sbocciato in una famiglia sentitamente cristiana, presto fu trapiantato nel giardino di Don Bosco ove il suo profumo inebriò tutti. All’inizio del mese dei fiori, assieme ad altri boccioli, tragicamente nel mare recisi, eroicamente con essi formò una corona da offrire per Maria a Gesù in puro slancio d’amore”.
- Ringrazio,
Innanzitutto, l’Amministrazione Comunale della Città di Marsala per le iniziative prese per quelli che sono da tutti ricordati come “GLI ANGELI DELLO STAGNONE”.
- Ringrazio,
Le autorità religiose intervenute, Il Vescovo della Diocesi di Mazzara del Vallo, Mons. Domenico Mogavero;
- l’Ispettore della Sicilia dei Salesiani Don Giuseppe Ruta;
- Don Gino Costanzo, Direttore della Casa Divina Provvidenza di Marsala;
- Ringrazio,
L’Autore del libro Nino Ienna, per avere con tanta dedizione ed amore ricostruito e raccontato tutte vicende successe quel tragico giorno del 1° maggio del 1964;
- Ringrazio,
L’Avv. Diego Maggio (alunno di quarta elementare del Maestro Don Enzo Sagona) che tanto ha fatto per tenere sempre vivo il ricordo del suo indimenticabile Maestro ed educatore. Sopravvissuto a quella tragedia perché non poté partecipare, la tragedia di quella giornata lo ha segnato per tutta la vita. Ma al ricordo ed ai principi morali e religiosi del Maestro Sagona ha ispirato la sua vita e la sua professione.
- Ringrazio,
tutti i sopravvissuti che hanno dato la loro testimonianza diretta di quanto accadde quel terribile giorno allo Stagnone;
- Ringrazio,
La Sig.ra Maria Papaleo della Calabria, e il Sig. Giovanni Carovello Grasta di Caltanissetta, che si impegnarono tramite internet (sito: fiori recisi marsala 64) a contattare i familiari degli scomparsi ed hanno organizzato la giornata in occasione del 50° anniversario a Marsala;
- Ringrazio,
L’Associazione La fucina di Alia, per avere invitato Nino Ienna e per avere fatto conoscere una tragedia che ha avuto come vittima, un figlio di questa comunità, che con il suo slancio eroico a ha sacrificato il bene più prezioso che Dio gli aveva donato, la vita, per gli altri.
- Ringrazio,
l’Amministrazione Comunale di Alia;
Ringrazio i cittadini di Alia che con la loro presenza hanno voluto onorare la memoria del mio compianto fratello Enzo.
Grazie a tutti, Nino Sagona
Testimonianza di José Antonio Messina, cugino di Antonino
Hola, quiero hacer llegar este comentario, con respecto a la muerte de mi primo Nino Messina, el que muere despues de ayudar a salvar varias vidas de sus compañeros, desconosco cuantos niños fueron, pero lamentablemente se por boca de mi madre Giuseppina Muffetti, que Nino muere porque el sacerdote en su desesperacion por salvarse lo toma a Nino y lo hunde en el mar por el peso de su sotana de sacerdote que llevava puesta. Esta tragedia de neglicencia se pudo evitar.
Josè Antonio Messina de Buenos Aires, Argentina.
Traduzione:
Salve, voglio lasciare questa testimonianza, per quanto riguarda la morte di mio cugino Nino Messina, che è morto dopo aver salvato diversi suoi compagni, anche se non so quanti ragazzi siano stati. So, per bocca di mia madre Giuseppina Muffetti, che Nino morì perché il sacerdote, nella sua disperazione, per salvarsi si aggrappò a Nino ed entrambi affondarono nel mare, trascinati dal peso della tonaca.
Questa tragedia di negligenza poteva essere evitata.
Josè Antonio Messina de Buenos Aires, Argentina.
Traduzione:
Salve, voglio lasciare questa testimonianza, per quanto riguarda la morte di mio cugino Nino Messina, che è morto dopo aver salvato diversi suoi compagni, anche se non so quanti ragazzi siano stati. So, per bocca di mia madre Giuseppina Muffetti, che Nino morì perché il sacerdote, nella sua disperazione, per salvarsi si aggrappò a Nino ed entrambi affondarono nel mare, trascinati dal peso della tonaca.
Questa tragedia di negligenza poteva essere evitata.
Testimonianza di Benedetta Adamo, vicina di casa di Carmelo Orlando, ricevuta il 2 Dicembre 2015
All'epoca della disgrazia vivevo a Marsala . L'abitazione della mia famiglia distava solo un centinaio di metri dalla casa della famiglia Orlando. Ricordo benissimo Carmelo. Non mancava mai di salutarmi quando passava davanti casa mia mentre si recava alla Chiesa dell'Ausiliatrice. Viveva con la madre e, mi pare di ricordare due sorelle. Una famiglia molto osservante e di profonda fede.
Il giorno della tragedia era un giorno di festa, il primo di maggio . Ricordo che c'era una riunione familiare, mio nonno, le sorelle di mia mamma. Tutti insieme. La notizia raggiunse il piccolo vicolo come un lampo. Il dolore della famiglia Orlando era il dolore di tutti. Avevo solo sette anni, ma non ho mai dimenticato quel bel ragazzo che mi salutava sorridendo.
Il giorno della tragedia era un giorno di festa, il primo di maggio . Ricordo che c'era una riunione familiare, mio nonno, le sorelle di mia mamma. Tutti insieme. La notizia raggiunse il piccolo vicolo come un lampo. Il dolore della famiglia Orlando era il dolore di tutti. Avevo solo sette anni, ma non ho mai dimenticato quel bel ragazzo che mi salutava sorridendo.
Testimonianza di Onofrio Sutera, ex alunno esterno, ricevuto il 2 Dicembre 2015
Dopo tanti anni solo oggi ho saputo che questo triste ricordo e ancora vivo in tanti marsalesi, sono un marsalese anch'io e vivo in piemonte da molti anni anche se vengo a marsala ogni tanto non avevo mai sentito parlare del naufragio dello stagnone .sono corso a comprare il libro. c'ero anch'io quel giorno insieme a mio fratello piu' piccolo andavamo ai salesiani da esterni , ricordo perfettamente tutto di quel giorno la lunga camminata a piedi i canti e le risa durante il percorso , l'arrivo a marinella le barche che ci aspettavano l'imbarco ricordo che mio fratello era salito sulla barca della disgrazia pero'un prete non so chi lo fece scendere dicendo: mettiti nell'altra barca insieme a tuo fratello, questo probabilmente lo ha salvato. Poi a meta'navigazione abbiamo visto la barca davanti a noi capovolgersi il barcaiolo di quella dove eravamo noi nel tentativo probanilmente di raggiungere il punto del naufragio si arenava in un basso fondale, tanto che il barcaiolo scendeva in mare a spingere la barca. Poi ci ha portato subito a riva ,e subito dopo alcune barche cominciavano a riportare a terra quelli che non c'e l'avevano fatta il ricordo di quei ragazzi stesi sul molo non mi ha mai abbandonato ,le ambulanze, le macchine dei privati che ci hanno poi portato a marsala . Grazie per quello che fate in loro memoria.
Testimonianza di Vincenzo Paolo Lo Cascio, ex alunno, pubblicata su facebook il 30 aprile 2021
Sarebbe la più grave tragedia del mare successa a un istituto Salesiano Siciliano, 17 vite spezzate in 10 minuti.
Doveva essere una giornata di gita e divertimento, tutti attendevamo di andare a Mothia il primo maggio, con le barche dal molo Marinella fino all'isola, circa tre km.
Ma ritorniamo al giorno prima, 30 aprile 1964, una bellissima giornata di sole che solo la nostra amata SICILIA CI SA DONARE, ero io insieme ad altri 5 o 6 ragazzini, avevo 9 anni, proprio sotto l'arco di porta Nuova di fianco e di fronte a Pistillo c'erano le macerie dei bombardamenti dei nostri amici(??) Miricani. Quel giorno BENEDETTO DAL SIGNORE, io giocavo con i piciriddri come me, mio padre era a lavorare ,era scarparo, in una c.da a S.Filippo Giacomo in zona detta à Conca, mio fratello emigrato a Milano, le mie sorelle in collegio. Mia madre era ricoverata in ospedale a Palermo, io ero il re di Marsala, avevo carta bianca per giocare. Abbiamo deciso ad un certo punto di giocare a tirare pietre contro, abbiamo fatto due squadre, messi a distanza di 10 metri circa, abbiamo cominciato a tirarci le pietre contro, a chi si colpiva. C'erano per terra i cocci rotti delle ciaramire dei tetti, ad un certo punto ne schivo una ma vedo subito arrivarmi dritto in faccia un'altra, l'ho impressa come in una foto, il suo colore giallino venato di rosso la pietra mi sbatte preciso in fronte,un impatto con rumore,Toc. Un fulmine,mi tocco la fronte e la mano tutta imbrattata di sangue, non ho pianto, la colpa era mia; mi portano a casa di mia zia, dormivo là in quel periodo, sulla via Falconara, immaginate lo spavento della zia, "Enzuccio che hai combinato?!".
Poi la sera mio padre, fece un solenne giuramento (gli sono grato fino a oggi): "Tu domani vieni con me a putia a travagghiari", io piano piano dissi: "ma devo andare alla gita domani con i Salesiani", mi rispose: " nenti gita e senza parlari cchiù"; cosi mogio mogio andai a letto.
La mattina del 1 maggio 1964, grande giornata di sole, mio padre con la bicicletta mi porta alla sua putia di scarparo, a 7 km di distanza, una stanzetta, con bancareddro, seggia, seggiolino e attrezzi per le scarpe. L'odore del mastice e cuoio riempiva la stanza, quel giormo mangiai la marmellata di cutugno dura, quella a pezzetti con la carta trasparente, piano piano, bevvi l'acqua e mi affacciavo davanti alla porta, nessuno in giro, un cane lagnuso che coricato mi guardava dicendomi: "chi talii, fatti i fatti toi, talia a natra bbanna"; un gatto moscio moscio che attraversava la strada guardandosi se vedeva magari una occasione per il suo pranzo, il sole cuoceva come fossimo stati in quelle città western, dove la vita si fermava a mezzogiorno. Finalmente verso le 15,30 mio padre mi dice preparati che andiamo, io tutto contento esco fuori, aspetto mio padre che prende la bicicletta, sento il rumore tipico, un rombo di motore MOTOBI' 1000, era mio fratello GIANNI, marinaio e rigattiere, vendeva pesci lato S.Leonardo- Birgi tutta la zona dello Stagnone marsalese, posa il motore e di corsa viene verso di me ,io guardavo sbigottito - cosa caspita corre?- arrivato vicino mi prende in braccio e mi solleva di peso baciandomi tutto, io ero tanto sbalordito del gesto che chiesi: "chi succirio?", va', con me in braccio, da mio padre e racconta che mentre finiva di vendere i pesci, passando dal lato Marinella vedeva tante autoambulanze, polizia e carabinieri, tanta gente sulla riva e tanti corpi coperti con lenzuola bianche. Lui si fermò, chiese cosa fosse successo, gli dissero che "tanti picciriddri ra' Casa Pruvirenza si anniaru". Lui corse subito con il pensiero al fratello piccolo che ero io, ero ancora esterno dai Salesiani, ero lì in mezzo, sapeva della gita che io volevo andare, voleva vedere i corpi per vedere se io ero nel mezzo, non lo hanno permesso, si prese a pugni con i carabinieri, per la rabbia, ha sbagliato, ma sfido chiunque in quel momento a essere calmo, gli dissero che in serata forse si poteva sapere qualche cosa.
Lui ando' subito da mia zia Rosa, buon'anima, sorella di mio padre, le disse che ero in campagna con mio padre, lui se la fece di corsa, era un motore potente, il rumore si sentiva a km di distanza, in quel periodo non c'era tanto traffico. Quel triste giorno morirono 16 bambini, e un chierico, Don Vincenzo Sagona, di 21 anni, piu' due ragazzi di 17 anni marsalesi MESSINA e ORLANDO, loro morirono perché salvarono tanti ragazzi, poi mancarono le forze e andarono giù, il prete morì perché i picciriddri si aggrapavano a lui, lui portava la tonaca nera, come si usava quel tempo, lo tirarono giu, annegandosi.
Fù una tragedia immane, il papa Paolo VI parlò all'Angelus domenicale dei "fiori recisi di Marsala", un padre poliziotto perse due gemelli, tanti erano siciliani.
Ci fu un lutto cittadino, il sole splendeva, ma era tutto grigio lo stesso, un quadro surreale, come quello di oggi, i camion dei soldati con il colore verde scuro faceva il giorno ancora piu' grigio, io con i miei compagni siamo andati fuori Porta Nuova, allora non recintata, su un cucuzzolo di Zona archeologica c'erano messi le fave piantate, noi eravamo 4 o 5 ragazzini camminavamo mosci mosci raccoglievamo qualche fava e la sbocconcelavamo piano piano. Guardando indietro mi sembra il quadretto dei discepoli di Emmaus, ci riscaldavamo il cuore raccontantoci il passato con i nostri compagni e il maestro don SAGONA, perché effettivamente era morta tutta la nostra classe quasi, la quarta elementare, ci siamo salvati in 4 della mia classe: Diego Maggio, Rallo Vincenzo, Abruzzo Vincenzo, ed io Lo Cascio Vincenzo.
Una storia tristissima che segnò in modo tragico i Salesiani marsalesi, il prefetto e il direttore don La Porta.
Le barche erano due, una si capovolse, con circa 40 ragazzi sopra, erano troppi su una barchetta. Io dopo più di trentanni dal fatto con don Cigna, prete salesiano di quel periodo, mi fece vedere dove erano sepolti i due marsalesi, ho le foto di entrambi, giovanissimi, ogni volta che andavo al cimitero dal lato antico, portavo dei fiori e una preghiera, hanno un sarcofago ciascuno, fatto dai Salesiani, hanno fatto una colletta perché nemmeno soldi avevano più. La vita cambiò dentro il collegio, fino alla chiusura per i ragazzini, rimase la chiesa, l'oratorio, le sale furono affitate dal comune per le scuole. Oggi dopo 56 anni ne parlo a loro ricordo e memoria. Ancora mi ricordo di alcuni visi che non ci sono più. Una preghiera per loro si accetta volentieri. Anche loro erano SICILIANI, caruseddri e picciriddri. Volgo un saluto a noi vivi, a te Diego, a te Abruzzo, a Rallo e a me stesso, gli scampati di Motyia.
Ricordiamo con un momento di silenzio i nostri 17 Angeli: Antonino Messina, Carmelo Orlando, Michelangelo Turrisi, don Vincenzo Sagona, Giovanni Caravello, Rosario Mugavero, Domenico Papaleo, Salvatore Madelio, Vincenzo Capizzi, Paolo e Camillo Lo Presti, Francesco Ruffino, Domenico e Giovanni Tirrito, Antonino Ruggirello, Michele Borrello, Renato Consoli. Un abbraccio virtuale e spirituale a tutti coloro che li hanno amati, li amano e li ricordano.
Un vostro compagno.
Lo Cascio Vincenzo Paolo.
Doveva essere una giornata di gita e divertimento, tutti attendevamo di andare a Mothia il primo maggio, con le barche dal molo Marinella fino all'isola, circa tre km.
Ma ritorniamo al giorno prima, 30 aprile 1964, una bellissima giornata di sole che solo la nostra amata SICILIA CI SA DONARE, ero io insieme ad altri 5 o 6 ragazzini, avevo 9 anni, proprio sotto l'arco di porta Nuova di fianco e di fronte a Pistillo c'erano le macerie dei bombardamenti dei nostri amici(??) Miricani. Quel giorno BENEDETTO DAL SIGNORE, io giocavo con i piciriddri come me, mio padre era a lavorare ,era scarparo, in una c.da a S.Filippo Giacomo in zona detta à Conca, mio fratello emigrato a Milano, le mie sorelle in collegio. Mia madre era ricoverata in ospedale a Palermo, io ero il re di Marsala, avevo carta bianca per giocare. Abbiamo deciso ad un certo punto di giocare a tirare pietre contro, abbiamo fatto due squadre, messi a distanza di 10 metri circa, abbiamo cominciato a tirarci le pietre contro, a chi si colpiva. C'erano per terra i cocci rotti delle ciaramire dei tetti, ad un certo punto ne schivo una ma vedo subito arrivarmi dritto in faccia un'altra, l'ho impressa come in una foto, il suo colore giallino venato di rosso la pietra mi sbatte preciso in fronte,un impatto con rumore,Toc. Un fulmine,mi tocco la fronte e la mano tutta imbrattata di sangue, non ho pianto, la colpa era mia; mi portano a casa di mia zia, dormivo là in quel periodo, sulla via Falconara, immaginate lo spavento della zia, "Enzuccio che hai combinato?!".
Poi la sera mio padre, fece un solenne giuramento (gli sono grato fino a oggi): "Tu domani vieni con me a putia a travagghiari", io piano piano dissi: "ma devo andare alla gita domani con i Salesiani", mi rispose: " nenti gita e senza parlari cchiù"; cosi mogio mogio andai a letto.
La mattina del 1 maggio 1964, grande giornata di sole, mio padre con la bicicletta mi porta alla sua putia di scarparo, a 7 km di distanza, una stanzetta, con bancareddro, seggia, seggiolino e attrezzi per le scarpe. L'odore del mastice e cuoio riempiva la stanza, quel giormo mangiai la marmellata di cutugno dura, quella a pezzetti con la carta trasparente, piano piano, bevvi l'acqua e mi affacciavo davanti alla porta, nessuno in giro, un cane lagnuso che coricato mi guardava dicendomi: "chi talii, fatti i fatti toi, talia a natra bbanna"; un gatto moscio moscio che attraversava la strada guardandosi se vedeva magari una occasione per il suo pranzo, il sole cuoceva come fossimo stati in quelle città western, dove la vita si fermava a mezzogiorno. Finalmente verso le 15,30 mio padre mi dice preparati che andiamo, io tutto contento esco fuori, aspetto mio padre che prende la bicicletta, sento il rumore tipico, un rombo di motore MOTOBI' 1000, era mio fratello GIANNI, marinaio e rigattiere, vendeva pesci lato S.Leonardo- Birgi tutta la zona dello Stagnone marsalese, posa il motore e di corsa viene verso di me ,io guardavo sbigottito - cosa caspita corre?- arrivato vicino mi prende in braccio e mi solleva di peso baciandomi tutto, io ero tanto sbalordito del gesto che chiesi: "chi succirio?", va', con me in braccio, da mio padre e racconta che mentre finiva di vendere i pesci, passando dal lato Marinella vedeva tante autoambulanze, polizia e carabinieri, tanta gente sulla riva e tanti corpi coperti con lenzuola bianche. Lui si fermò, chiese cosa fosse successo, gli dissero che "tanti picciriddri ra' Casa Pruvirenza si anniaru". Lui corse subito con il pensiero al fratello piccolo che ero io, ero ancora esterno dai Salesiani, ero lì in mezzo, sapeva della gita che io volevo andare, voleva vedere i corpi per vedere se io ero nel mezzo, non lo hanno permesso, si prese a pugni con i carabinieri, per la rabbia, ha sbagliato, ma sfido chiunque in quel momento a essere calmo, gli dissero che in serata forse si poteva sapere qualche cosa.
Lui ando' subito da mia zia Rosa, buon'anima, sorella di mio padre, le disse che ero in campagna con mio padre, lui se la fece di corsa, era un motore potente, il rumore si sentiva a km di distanza, in quel periodo non c'era tanto traffico. Quel triste giorno morirono 16 bambini, e un chierico, Don Vincenzo Sagona, di 21 anni, piu' due ragazzi di 17 anni marsalesi MESSINA e ORLANDO, loro morirono perché salvarono tanti ragazzi, poi mancarono le forze e andarono giù, il prete morì perché i picciriddri si aggrapavano a lui, lui portava la tonaca nera, come si usava quel tempo, lo tirarono giu, annegandosi.
Fù una tragedia immane, il papa Paolo VI parlò all'Angelus domenicale dei "fiori recisi di Marsala", un padre poliziotto perse due gemelli, tanti erano siciliani.
Ci fu un lutto cittadino, il sole splendeva, ma era tutto grigio lo stesso, un quadro surreale, come quello di oggi, i camion dei soldati con il colore verde scuro faceva il giorno ancora piu' grigio, io con i miei compagni siamo andati fuori Porta Nuova, allora non recintata, su un cucuzzolo di Zona archeologica c'erano messi le fave piantate, noi eravamo 4 o 5 ragazzini camminavamo mosci mosci raccoglievamo qualche fava e la sbocconcelavamo piano piano. Guardando indietro mi sembra il quadretto dei discepoli di Emmaus, ci riscaldavamo il cuore raccontantoci il passato con i nostri compagni e il maestro don SAGONA, perché effettivamente era morta tutta la nostra classe quasi, la quarta elementare, ci siamo salvati in 4 della mia classe: Diego Maggio, Rallo Vincenzo, Abruzzo Vincenzo, ed io Lo Cascio Vincenzo.
Una storia tristissima che segnò in modo tragico i Salesiani marsalesi, il prefetto e il direttore don La Porta.
Le barche erano due, una si capovolse, con circa 40 ragazzi sopra, erano troppi su una barchetta. Io dopo più di trentanni dal fatto con don Cigna, prete salesiano di quel periodo, mi fece vedere dove erano sepolti i due marsalesi, ho le foto di entrambi, giovanissimi, ogni volta che andavo al cimitero dal lato antico, portavo dei fiori e una preghiera, hanno un sarcofago ciascuno, fatto dai Salesiani, hanno fatto una colletta perché nemmeno soldi avevano più. La vita cambiò dentro il collegio, fino alla chiusura per i ragazzini, rimase la chiesa, l'oratorio, le sale furono affitate dal comune per le scuole. Oggi dopo 56 anni ne parlo a loro ricordo e memoria. Ancora mi ricordo di alcuni visi che non ci sono più. Una preghiera per loro si accetta volentieri. Anche loro erano SICILIANI, caruseddri e picciriddri. Volgo un saluto a noi vivi, a te Diego, a te Abruzzo, a Rallo e a me stesso, gli scampati di Motyia.
Ricordiamo con un momento di silenzio i nostri 17 Angeli: Antonino Messina, Carmelo Orlando, Michelangelo Turrisi, don Vincenzo Sagona, Giovanni Caravello, Rosario Mugavero, Domenico Papaleo, Salvatore Madelio, Vincenzo Capizzi, Paolo e Camillo Lo Presti, Francesco Ruffino, Domenico e Giovanni Tirrito, Antonino Ruggirello, Michele Borrello, Renato Consoli. Un abbraccio virtuale e spirituale a tutti coloro che li hanno amati, li amano e li ricordano.
Un vostro compagno.
Lo Cascio Vincenzo Paolo.
Poesie
Rosa di Bontà
Poesia dedicata a Carmelo Orlando - 11/7/1964
Quanto sei bella rosa mattutina
Che apri al vento la tua rosea corolla
Il vento lieve sfiora il tuo profumo
E lo regala al cielo o bella rosa
Ti cinge il sole coi suoi raggi d'oro
E tu sembri una perla tra le perle.
O rosa bella o rosa tutta rossa,
Ti guarda il mondo con grande ammirazione
Sei vellutata, hai belle foglie tenere
Ma tra le foglie si trovano le spine.
Io vo coglierti, per porti in una tomba,
Per regalarti a un cuore generoso che ci lasciò,
Lasciando in questo mondo
Il profumo di una Bontà Suprema.
E Maria Stella del mare,
Accolse a braccia aperte
Quel dolce suo Profumo di Bontà.
Isabella Catalano
Che apri al vento la tua rosea corolla
Il vento lieve sfiora il tuo profumo
E lo regala al cielo o bella rosa
Ti cinge il sole coi suoi raggi d'oro
E tu sembri una perla tra le perle.
O rosa bella o rosa tutta rossa,
Ti guarda il mondo con grande ammirazione
Sei vellutata, hai belle foglie tenere
Ma tra le foglie si trovano le spine.
Io vo coglierti, per porti in una tomba,
Per regalarti a un cuore generoso che ci lasciò,
Lasciando in questo mondo
Il profumo di una Bontà Suprema.
E Maria Stella del mare,
Accolse a braccia aperte
Quel dolce suo Profumo di Bontà.
Isabella Catalano
Naufragio a Marsala nel '64
Fiori freschi, ancora boccioli,
gioiosi e allegri,
come stormo di uccelli,
in 17, insieme, volarono
nel ciel di primavera
lasciando nel mar
le loro ancor tenere spoglie.
Naufragio, a Marsala, nel ’64!
Gli affanni di terrena lunga vita
non toccò loro viver mai!
Maturi eran già, forse,
per il regno degli azzurri ciel?
Elena Basile
gioiosi e allegri,
come stormo di uccelli,
in 17, insieme, volarono
nel ciel di primavera
lasciando nel mar
le loro ancor tenere spoglie.
Naufragio, a Marsala, nel ’64!
Gli affanni di terrena lunga vita
non toccò loro viver mai!
Maturi eran già, forse,
per il regno degli azzurri ciel?
Elena Basile